mercoledì 26 giugno 2013

Visibilità dei beni protetti dalla legge 29 giugno 1939, n°1497

Il Comune di San Nicola Arcella conta 797 famiglie contro le 4.981 abitazioni (al censimento del novembre 2011) totali presenti sul territorio. Une enorme, in relazione alla capacità di accoglienza del territorio, capacità alberghiera locale forte di circa 2200 posti letto utilizata per poco più di due mesi l’anno, in parte sottoposta a sequestro per fallimento ed in parte sotto sequestro per avvelenamento degli ospiti.
Una costa morfologicamente splendida e fino a qualche tempo fa dalle acque cristalline, tanto da meritare il riconoscimento di bene ambientale, sottoposto con Decreto Ministeriale del 15 dicembre 1969 (G.U. n° 8 del 10/01/70) alla tutela della Legge del 29 giugno 1939, n°1497 - Protezione delle bellezze naturali e del successivo Regolamento di attuazione approvato con regio decreto del 3 giugno 1940 n° 1357, decreta che:
“La zona costiera sita nel territorio del comune di San Nicola Arcella (Cosenza) ha notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, ed è quindi sottoposta a tutte le disposizioni contenute nella legge stessa.”
Con il vincolo dell’obbligo da parte del proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo, dell'immobile ricadente nella località vincolata, di presentare alla competente Sopraintendenza, per la preventiva approvazione, qualunque progetto di opere che possano modificare l'aspetto esteriore della località stessa,
Tutto ciò senza considerare che la costa ed il mare che si estende lungo la costa che va dall’Isola Dino a Capo Scalea è protetto quale Area SIC , Siti di Interesse Comunitario, ai sensi della Direttiva Habitat 43/92/CEE (Codice Sito Natura 2000 lT9310034) e si fregia di rappresentare, dal 2008, con l’Isola di Dino, una porzione consistente del Parco Marino della Riviera dei Cedri.
Di questo tratto di mare sottoposto nel periodo estivo alla aggressione di natanti privati e di quelli con licenza di servizio pubblico che ne fanno scempio, fa parte la costa, ampiamente antropizzata, del Comune di San Nicola Arcella, il cui ultimo Piano spiaggia prevede un numero esorbitante di concessioni allo esercizio dell’attività di posa sdraio ed ombrelloni, che recentemente l’amministrazione sta tentando di trasformare in concessioni annuali per stabilimenti balneari, anche in spazi di costa prospicienti un piccolo porto naturale che, sempre nel periodo estivo, raggiunge le 2/300 ormeggi.
Un luogo dove i cittadini non residenti lasciano sul territorio da alcune decine di anni una cifra compresa tra i 15 e i 18 milioni di euro l’anno di cui circa 2,5 milioni di euro/anno destinati alle casse comunali per coprire spese per servizi che questi cittadini utilizzano, in media. per meno di 20 giorni l’anno, come rinveniente da una recente ricerca in corso “Lifestyles and consumption of do-it-yourself residential tourists in Italy” condotta nell'ambito del CREeST (Centro Studi e Ricerce sul Turismo) dell’UNICAL con il sostegno della Camera di Commercio di Cosenza, che valuta in circa un miliardo di euro/anno le entrate economiche complessive dell’Alto Tirreno Cosentino per le sole attività connesse al turismo stanziale estivo locale.
Ci si domanda, allora, come è stato possibile agli enti preposti, Sopraintendenza ai Beni Ambientali e Strutture tecniche comunali, approvare un Piano di edificazione e rilasciare licenze nel territorio per circa 4.700 nuove abitazioni, a partire dal 1971 anno in cui il borgo di San Nicola Arcella era composto da 692 abitazioni, di cui ben 3732 approvate e costruite nel periodo 72-91 (circa 15 abitazioni/mese) cosa che si è ripetuta nel periodo 2001-2011 con ulteriori 8-900 ( circa 8 nuove abitazioni medie/mese), permettendo a San Nicola Arcella essere tra i primi (18° posto) nel rapporto tra abitazioni totali ed abitazioni dei residenti nella classifica riferita ai circa 8.100 comuni italiani, in pieno contrasto con il DM del ’70 sopra citato e facendo raggiungere un grado di saturazione ambientale incompatibile con il territorio e le sue strutture amministrative e produttive strutturate per soddisfare i bisogni di qualche centinaia di famiglie residenti senza che le autorità superiori siano, tempestivamente, intervenute.

La proposta: diamo un logo ed una adeguata visibilità anche ai luoghi che lo Stato ha deciso di tutelare, tra il disinteresse di tutti, con la Legge del 29 giugno 1939, n°1497 - Protezione delle bellezze naturali.
Imponiamo ai comuni e alle istituzioni interessate di rendere riconoscibile il bene protetto con adeguati segnali e targhe chiediamo loro di inserire il logo che il suo Ministero presceglierà su tutti i loro mezzi di comunicazione istituzionale.

lunedì 24 giugno 2013

Economia, una (pazza!) proposta

Ci stiamo avvitando in una spirale mortale.
Aumentiamo l'IVA per fare cassa. Poco roba per deprimere i consumi, grande impatto per chi (i commercianti, gli artigiani, professionisti ed imprese) l'IVA a fine mese dovrà fisicamente versarla allo Stato. Aumentando cosi' a dismisura il nero e l'evasione. Lo stesso vale per l'IMU sulle prime case. Una economicamente inutile bandiera mediatica viste le larghe esenzioni che i comuni hanno messo in campo per la prima casa.
È allora?
Un pacchetto di 2/3 miliardi si può trovare in un decimo di minuto. Non agendo sugli sprechi ma su un particolare ed odioso spreco di risorse.
Molti dei 23 miliardi di IMU sulle seconde case sono stati imprudentemente lasciati nelle casse dei comuni. Ma almeno il 20-30% di questi sono piccoli comuni turistici che presentano un rapporto abitazioni totali su abitazioni dei residenti superiore alla media nazionale che è calcolabile intorno a 1,15.
Leggendo i dati ISTAT si può agevolmente verificare che in alcuni casi qusto rapporto raggiunge le 10 e piu' case di non residenti per ogni abitazione di residenti. Soldi che la legge vigente lascia a questi piccoli comuni e che finiscono per la maggior parte in un vortice di inefficienze, in investienti inutili o in voto di scambio.
Ma non volevo parlarvi di minutaglie.
La proposta che vi faccio e' un innovativo patto che punta a mettere insieme gli interessi percepiti dei soggetti in gioco per ottenere il necessario riassorbimento della attuale disoccupazione.
Facciamo un patto con le associazione dei commercianti, degli artigiani, i professionisti e le imprese. Qualcosa che produca insieme meno evasione, minore lavoro nero e maggiore occupazione.
Questa in sintesi la proposta:
a tutte le imprese che dichiareranno una crescita del proprio fatturato rispetto al periodo precedente e solo a queste e alle start up, verra' ridotto, fino a concorrenza del 50%, il saldo IVA da versare allo Stato se un equivalente ammontare verra' impegnato per pagare gli oneri contributivi per nuovi assunti a tempo indeterminato.
L'equivalente di questo ammontare potrà essere utilizzato per pagare fino a concorrenza il 50% dei contributi. a nuovi dipendenti. Il patto varra' per un periodo (3, 5 anni?) predefinito e fintanto che il maggior fatturato verrà' mantenuto.
Se poi l'impresa decidesse di fare investimenti in innovazione di prodotto e di processo, questa potrebbe ottenere di non versare anche l'ulteriore 50% del saldo IVA fino a concorrenza del costo a copertura degli relativi ammortamenti maturati.
Si rinuncia a parte del saldo IVA per il fatturato aggiuntivo ma si ottengono: un incremento del PIL di 5-10 volte superiore al gettito di IVA perduto; si ottiene un nuovo assunto per ogni 100.000 euro di fatturato aggiuntivo; si ottiene un saldo attivo per la conseguente ripresa dei consumi, ecc. ecc.
Ma quello che più conta e che si spinge la impresa a far riemergere il nero, con conseguente possibile ed auspicabile maggior utile realizzato sulla quota parte del fatturato aggiuntivo.
Per maggiori stipendi versati, poi, si riottiene in imposte, forse, una quota dell'IVA non incassata.
Corrispondentemene diminuisce il rapporto debito PIL