Lo Stato dovrà, finalmente, assumersi le proprie responsabilità utilizzando comportamenti univoci e, se necessario, in contraddizione con le lobby di potere, per favorire la concorrenza e lo sviluppo.
Tra questi, prioritario, è un concreto e deciso passo perché alle imprese che gestiscono servizi in concessione, private o pubbliche, sia imposto di investire consistentemente e prioritariamente nelle aree depresse, specie quelle meridionali, per rendere servizi ad un livello almeno pari a quello offerto nelle altre aree del paese (vedi per esempio il largo divario di tempi di percorrenza e di qualità del servizio del trasporto ferroviario, la debolezza infrastrutturale della rete telefonica, che offre servizi a livelli di paesi del terzo mondo, strade ed autostrade abbandonate e pericolose, servizi sociali e sanitari inesistenti, rete elettrica fatiscente, ecc.).
Il che non significa necessariamente avviare faraonici investimenti in infrastrutture ma piuttosto significa investire soprattutto in tecnologia, manutenzione e una migliore gestione dell’esistente.
Le società concessionarie dello Stato devono rispondere al concedente (lo stato e la comunità tutta) non solo del prezzo praticato, ma soprattutto del livello di servizio offerto. Il contratto di concessione che lo Stato sottoscrive deve contenere una chiara, dettagliata ed univoca definizione dei servizi offerti, definendone le specifiche.
Lo Stato ed i propri rappresentanti (Ministri compresi!) devono accertarsi che le attività svolte dal concessionario rispettino le strategie generali nell’ambito delle quali è stata sottoscritto il contratto di concessione. Non come avviene ormai da anni al Ministero dei Trasporti, dove il Ministro si è sempre considerato, fino ad ora, come una sorte di Presidente Onorario, con il risultato di inenarrabili inefficienze (e ... sofferenze !) di cui sono soggetti passivi consumatori spesso deboli e non sufficientemente tutelati.
Ma soprattutto deve essere rivisto il concetto proprio di priorità degli investimenti nelle reti (ferroviaria, stradale, elettrica, telefonica, ecc.).
In un paese così economicamente squilibrato (e enormemente piccolo in termini di mercato applicabile) come l’Italia non possono valere solo i parametri della convenienza e del ritorno economico per definire le priorità di investimento nei servizi.
Quando è lo Stato, e la comunità, ad investire direttamente (esplicitamente attraverso la destinazione di fondi specifici e/o aumenti di capitale, implicitamente attraverso il riconoscimento di un sovrapprezzo sulle tariffe) non ci si può limitare ad accettare indicazioni sulla destinazione degli stanziamenti senza mettere in campo una seria verifica sulle compatibilità e sulle priorità. Ne si può eludere la necessità di mettere in campo, p.e. utilizzzando le authority, un serio controllo, in corso o a posteriori, sulla destinazione del danaro concesso e sulla effettiva realizzazione delle opere finanziate.
Devono essere messi in atto strumenti di controllo congrui che permettano di verificare che le opere previste siano eseguite nei tempi e nei modi previsti, che ad ogni servizio offerto corrisponda una dettagliata specifica, che i prezzi dei servizi siano adeguati al servizio offerto e che le specifiche per cui quel prezzo è stato stabilito siano rispettate.
Non come avviene ora dove ad ogni piè sospinto i concessionari (vedi le ferrovie e più recentemente le poste) annunciano nuovi servizi, spesso fasulli (vedi l'Intercity Plus), al solo scopo di aumentare impropriamente le tariffe declassando a parità di prezzo praticato il servizio sin a quel momento reso (vedi l’introduzione del servizio Eurostar e l’evidente declassamento del servizio Intercity, o per le poste lo scadimento e la successiva cancellazione del servizio ordinario).
Ancor più grave appare il caso del prossimo avvio del servizio di Alta Velocità che le Ferrovie dello Stato si apprestano a rendere ancor più caro di quello dell’Eurostar, nonostante gli investimenti siano stati pagati dallo Stato e cioè da tutti i cittadini, o quando le varie telecom introducono e promuovono a dismisura il servizio cellulare senza avere a disposizione frequenze capaci di soddisfare l’utenza, o quando la società autostrade costringe l’utente a pagare un sovrapprezzo per il servizio telepass, servizio che produce all’azienda un netto risparmio di gestione o come quando, in barba al dettato della concessione ed a qualunque criterio di sicurezza della circolazione stradale, la società gestore delle autostrade si limita a manutenere nastri di asfalto, forse ben tenuti, ma sicuramente privi di qualsiasi sistema di sicurezza e di controllo e di gestione dei flussi di traffico.
Ma soprattutto i servizi devono essere resi ai cittadini, ed agli imprenditori, con una qualità omogenea e non solo sulla base della loro capacità di essere degli “opinion makers”.
Come appare del tutto inopportuno che l'attenzione manageriale dei vertici delle Ferrovie dello Stato sia tutta orientata alla concorrenza con Alitalia sulla tratta Roma-Milano.
Il livello delle tariffe che lo Stato concede per questi servizi, seppur univoco per tutti gli utenti del paese, deve costituire per le imprese che lo producono valore medio e certificato di contabilità industriali separate che vedano assegnato per ciascun area di mercato servito ed ad ogni area del paese i relativi costi sia in termini di gestione che in termini di investimenti realizzati.
Al fine di evitare che i fondi ottenuti per gli investimenti vengano dirottati sulle aree geografiche più ricche ed i relativi ammortamenti vengano caricati sulle aree più povere del paese, o che tutto ciò avvenga a favore di aree di mercato privilegiate ( treni veloci contro treni pendolari) e gli “opinion makers” ottengano un servizio migliore.
E lo stesso vale, di contro, per i contributi governativi a cui queste imprese non voglio rinunciare ( vedi il mancato trasferimento del trasporto locale alle regioni o alle citta metropolitane, o la quota fissa delle bollette telecom o i vari sovrapprezzi di Enel, ecc.), per finanziare la gestione corrente.
Nel computo delle tariffe devono essere tenuti ben separati il regime degli sconti concessi, i costi di pubblicità, le esenzioni di pagamento dei servizi a favore di specifiche categorie di utenti, l’utilizzo gratuito di beni e personale a favore di terzi, le retribuzioni del top managment, che dovrebbero essere considerate nel computo del prezzo ad un valore standard o medio di mercato, la manutenzione e l’ammortamento di beni che non siano strettamente strumentali al servizio concesso. Ad evitare che questi vengano considerati impropriamente componenti del costo del prodotto.
Per inciso i privilegi concessi ai propri dipendenti o a vantaggio di particolari classi di cittadini dovrebbero far parte di accertamento fiscale a carico dell’azienda.
Questi devono essere considerati come una transazione commerciale resa al prezzo di mercato il cui costo deve essere a carico del bilancio nel conto profitti e sul quale l’azienda dovrebbe versare IVA e imposte. Naturalmente, poi, l’impresa dovrebbe inserire nei propri costi il corrispondente valore quale spesa promozionale o, se si tratta di dipendenti, dovrebbe considerare tale spesa nei costi accessori del personale, versando i relativi contributi.
Il relativo costo ricadente sulla comunità non si limita ai circa 700-800 milioni di euro di cui una (buona) parte influiscono sul livello dei costi che vengono considerati per il conteggio delle tariffe.
Nessun commento:
Posta un commento