sabato 11 settembre 2004

ALITALIA, una proposta per una crisi annunciata

Abstract: I problemi di Alitalia sono stati affrontati con la superficialità con la quale i "politici" normalmente affrontano i problemi di politica industriale del paese; non meglio è stato affrontato il problema degli esuberi del personale . Voler paragonare Alitalia ad una compagnia low cost è come confrontare pere con patate. Se Alitalia deve competere con le compagnie low cost sarà meglio scioglierla. Nei discorsi dei nostri politici normalmente le professionalità presenti nelle aziende vengono confuse (e trattate) nel calderone (del … numero) dei dipendenti. Siamo un paese che pensa ancora in termini di capannoni, macchine e teste, che non si è accorto che le aziende del mondo industrializzato utilizzano la "conoscenza e l'esperienza" come proprio asset, avendo devoluto ai paesi del terzo mondo la "produzione". Il personale di Alitalia è un asset che, per esempio, manca, ancora, a Trenitalia. Società che non è assolutamente capace di produrre un servizio adeguato ai normali standard qualitativi del settore. Sarebbe sicuramente più produttivo per Ferrovie dello Stato investire in "servizio al passeggero" piuttosto che in "nuove stazioni ".

Le chiare analisi apparse sulla caso Alitalia (ma per il nostro paese e davvero un caso?) nelle scorse giornate confermano ciò che a molti era già visibile: la crisi Alitalia viene da una incapacità dei vertici della società nello scegliere la propria area di mercato e dall’arrogante rifiuto di realizzare concrete alleanze produttive con altre compagnie europee.
La nostra compagnia di bandiera si è trovata ad operare in un mercato di dimensioni troppo piccolo in riferimento alla struttura organizzativa che si era data, e quindi ai propri costi, quale è quello italiano. Ma vi erano le sovvenzione statali e i contributi regionali che saldavano l’evidente insufficienza di ricavi.
Ed è stato questo uno dei maggiori problemi di questa società, il rifugiarsi per anni nel, per qualche verso, comodo ma inesistente mercato captive senza aver mai tentato di scegliersi un proprio mercato di riferimento, come è capitato a tante aziende private e a tantissime aziende parastatali italiane. Senza contare gli errori nella strategia degli investimenti con acquisti di velivoli dettati più da ragioni politiche che industriali ed appesantiti da diseconomie derivanti dalla necessità dell’azionista di supportare l’occupazione di aziende terze decotte imponendo all’Alitalia di favorire improbabili compensazioni industriali: acquisti di velivoli contro lavoro (di scarso livello tecnologico!) per l’industria aeronautica italiana.
Finchè non sono intervenuti processi evolutivi quali la chiusura dei cordoni della borsa da parte dello Stato, la liberarizzazione, la liquidazione dell’IRI, che ha tolto alla compagnia sia la possibilità di vedersi ripianare a cuor leggero i debiti sia le non insignificanti quote di mercato provenienti da questa area di mercato. Ed
em>è stato questo il momento in cui è eslposa la contraddizione non risolta da nessuno dei vari manager che si sono man mano succeduti.
Pur avendo ancora in piedi una struttura organizzativa da compagnia di bandiera, si è scelta la via dello scontro sul piano dei voli a basso costo con aziende più agili nate nel frattempo per servire tale mercato, rendendo incompatibili le esigenze proprie di questo tipo di mercato con la propria capacità di offrire un servizio qualificato e .. di bandiera.
A questo si è aggiunto l’arroganza e la stupidità di non capire che senza una politica di alleanze europee sia in termini di gestione che in termini di investimenti si sarebbe giunti al punto in cui siamo, con la scelta di tagliare posti di lavoro qualificati, con il rischio che qualcuno pensi al loro prepensionamento.
Lo stesso inqualificabile errore fatto con le Ferrovie dello Stato, società alla quale si è permesso, dietro l’offerta di un servizio, che è solo mediatico, quale è quello offerto dal servizio Eurostar, di smantellare, di fatto, un potente e capace complesso industriale, stravolgendo così la missione di servizio pubblico riservata da sempre a questa azienda, con il risultato di aver impoverito le capacità tecniche dell'azienda mandando in prepensionamento decine di migliaia di lavoratori qualificati, promuovendo sindacalisti capaci (sic!) a manager, incapaci, e allargando a dismisura la voragine dei conti INPS.
Le Ferrovie dello Stato, così operando, hanno scelto di privilegiare una fetta di mercato che non è sicuramente la propria, con il risultato di offrire un servizio, comunque scadente, ad un limitato mercato di opinion makers su poche linee privilegiate, coprendo, così, con con un velo la propria disfatta manageriale: la disfatta della tanto decantata via del primato del trasporto su ferro.
Due casi da studio, due debolezze che potrebbero trasformarsi in due forze se il sistema politico italiano fosse capace di fare politica industriale e non solo finanza creativa. Forse, checchè se ne dica, manca al paese una struttura manageriale di controllo strategico come era l’IRI e che non riuscirà mai ad essere sostituita dalla debolezza manageriale di Sviluppo Italia, cosa che sembra stia, con i fatti, perseguendo il nostro Ministro del Tesoro.
All’Alitalia bisogna, a meno di non liquidarla, ridare la possibilità di operare nella sua naturale nicchia di mercato dove è richiesto un servizio ricco e qualificato e dove possono essere espresse tutte le potenzialità dell’ancor esistente organizzazione Alitalia. E naturalmente bisogna lasciarla libera di allearsi operativamente con un vettore europeo. Vendere l’Alitalia a cordate private è di fatto una non soluzione. Chi la compra non piò che procedere al suo smantellamento. Creare un bad company o dividere semplicemente la compagnia in più società è un insulto all’intelligenza. L'Alitalia per ritrovare il suo mercato ha bisogno di tempo, tanto tempo e non certo i mesi che i politici stanno assegnando ad un povero cristo di presidente, che non conosce niente di aziende di trasporto.. aereo.
Le Ferrovie dello Stato, per altro verso, devono essere riportate al loro proprio core business lo sviluppo del servizio pubblico. Attualmente l’attenzione manageriale di questa impresa è tutta focalizzata sul servizio per le linee a più alta frequenza, le direttrici che da Roma vanno verso il Nord del paese e per le linee che, si può affermare impropriamente, sono definite ad alta velocità e che hanno la pretesa, mancata, di offrire un servizio più qualificato.
Linee con materiale rotabile nuovo ma non certo più veloce e confortevole di quanto lo fossero, al loro tempo, gli Intercity e pretesa, mancata, di offrire un servizio qualificato. La struttura storica delle ferrovie è e rimane di origine industriale (treni e binari) e non ha alcuna idea di cosa significhi e come si debba organizzare un servizio al cliente, tantomeno un servizio di trasporto qualificato. Con il concreto rischio di venire travolti dalla prossima liberalizzazione che vedrà nuove imprese più agili e con meno pesi e regole offrire servizi migliori e più competitivi. Cosa che produrrà necessariamente un nuovo pacchetto di esuberi (si parla di ulteriori 30.000 ferrovieri da prepensionare!).
Due debolezze che, come detto, potrebbero trasformarsi in due forze se si avesse il coraggio politico e organizzativo di apportare il ramo d’azienda che attualmente gestisce per le Ferrovie dello Stato i servizi “ad Alta Velocità” all’Alitalia.
I circa 2000 esuberi Alitalia costituirebbero linfa vitale per questo particolare servizio ferroviario, arricchendolo. Di contro, l’Alitalia, liberate di un numero importante di risorse attualmente ritenute, non del tutto a ragione, eccedenti, potrebbe dedicarsi a ridisegnare, perseguire ed implementare una strategia di sviluppo, compreso la scelta del miglior alleato operativo possibile, abbandonando la corsa suicida verso l’offerta di servizi a basso costo.
Le Ferrovie dello Stato, liberate di un falso obiettivo, potrebbero focalizzarsi sul miglioramento dell’offerta di servizio pubblico e potrebbero dedicare la propria attenzione manageriale allo sviluppo delle linee e del traffico nelle zone ancora poco e mal servite ma sopratutto potrebbero dedicarsi con più interesse manageriale allo sviluppo del servizio merci: ritornando alla propria missione di operatore essenziamente e naturalmente pubblico. Per di più lo Stato Patrimoniale rafforzato dal conferimento del ramo d’azienda permetterebbe all’Alitalia di raggiungere, con tranquillità, i risultati attesi dalla ristrurazione con minore affano.
Un progetto questo, ciòè il tentativo di inserire in un unico contenitore industriale il trasporto pubblico omogeneo non nel senso del mezzo usato ma nel senso del mercato servito, studiato dai vertici di Ferrovie ed IRI negli anni novanta e affondato con colpevole insipienza dagli allora dirigenti operativi delle due imprese.

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