lunedì 6 settembre 2004

Democrazia e Controllo dei piccoli comuni turistici (2)

Abstract: Cittadini o residenti? Il decreto legge 267 definisce, in un impeto di deregulation, regole di gestione e sistemi di controllo delle amministrazioni comunali più o meno severe sulla base della "classe demografica". Un parametro ormai obsoleto che ritiene di rappresentare la dimensione (economica!) del comune dal numero dei sui residenti. Un metodo basato sulla "immobilità" della popolazione, ma sopratutto un metodo che discrimina cittadini non residenti. Cittadini che pagano tasse e tariffe ma che non hanno alcun diritto di partecipazione. Un insieme di condizioni che favorisce il "voto di scambio", scecie nei piccoli comuni a vocazione turistica.

Il caso: San Nicola Arcella, località turistica in provincia di Cosenza, con 1400 abitanti residenti (circa 450 famiglie) e circa 4500 appartamenti frequentati per le vacanze e di proprietà di altrettante famiglie: circa 10.000-11.000 cittadini che contribuiscono al reddito della comunità residente e che pagano, al pari di questi, tutti i tributi ed i servizi. Un caso, preso a riferimento tra centinaia di casi simili, che riguarda molti piccoli comuni turistici italiani.
L’attuale definizione di "abitante", che di fatto corrisponde univocamente al cittadino residente e quella di "elettore", che si riferisce al cittadino residente che, raggiunta l’età di legge, viene iscritto nelle liste elettorali, risulta di fatto un concetto vecchio rispetto alla evoluzione dei bisogni di una moderna società civile. Il cittadino non ha più bisogno di essere individuato da una anagrafe comunale che pretende di collegare indissolunilmente il luogo di residenza all'individuo. Collegare gli iscritti all'anagrafe comunale, un dato buono solo per bisogni statistici, ai cittadini che hanno diritto di voto è e sicuramente contraddittorio anche rispetto all’evoluzione delle variabili economiche che il decentramento amministrativo ha e sta comportando. Senza contare che il cittadino è individuato già da un codice fiscale, e presto, dalle proprie impronte digitali.
La questione riguarda, in special modo, un numero elevato di cittadini, non meno di 7-8 milioni di persone che utilizzano 3-4 milioni di seconde case e che pagano tasse e tariffe (1) in alcuni casi addirittura in misura superiore ai residenti.
Il cittadino avrebbe il diritto di partecipare alla cosa pubblica ovunque abbia interessi economici e ovunque paghi le tasse riconoscendogli, almeno, il "diritto", sempre previsto dagli statuti comunali nel capitolo "partecipazione" ma che spesso nei piccoli comuni, specie quelli turistici, volutamente disatteso, ad una adeguata partecipazione alla cosa pubblica e ad un controllo della gestione comunale da parte di organi, e tra questi il revisore dei conti, adeguati, qualificati ma sopratutto indipendenti(2) . Da qui la necessità di introdurre una norma più imperativa sul fatto che gli statuti comunali prevedano adeguati livelli di partecipazioni dei "cittadini", iscritti o non iscritti all'anagrafe, alla cosa pubblica.
Per il medio-lungo termine sarà il caso di affidare al Parlamento una azione che preveda, per la tipologia dei comuni rappresentata, la possibilità di porre rimedio al deficit di democrazia che ora si verifica, riconoscendo a quei cittadini di serie B, che pagano le tasse ed i servizi il diritto di accesso al voto per l’elezione di propri rappresentanti nei consigli comunali.Questo si potrebbe ottenere semplicemente ridefinendo il significato di "classe demografica" ampliandolo cioè a tutti i soggetti che nel comune sono portatori di interessi economici.

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1) tasse o tariffe che spesso, proprio nel caso di seconde case, risultano proporzionalmente più costose visto che molto spesso non vengono conteggiate a consumo. Molti comuni, infatti, fanno pagare i servizi sulla base di consumi minimi e non a contatore, applicano aliquote ICI superiori e senza sgravi, incassano una addizionale sull’energia elettrica, ecc. ecc.
2) cosa sostenuta anche dalla Corte dei conti – Sezione autonomie "..., la Sezione perviene ad una valutazione non positiva sul funzionamento di questi organi che non hanno corrisposto pienamente alle aspettative del legislatore e della collettività nazionale, in quanto le loro relazioni appaiono,.... , spesso non collegate con la realtà gestionale dell'Ente,..." (da Relazione sui risultati della gestione finanziaria e sull’attività degli enti locali nell’esercizio 2001 e sulla gestione di cassa nell’esercizio 2002 - Deliberazione n. 6/2003, inviata al Parlamento il 19 giugno 2003)

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